PREPARATIVI.
E’ dai primi di febbraio che non riprendo la Freccia Rossa, il treno ad alta velocità che da Firenze ti porta a Milano in un’ora e quarantacinque minuti. Siccome l’appuntamento è per il primo pomeriggio, parto a mezzogiorno. E siccome parto a mezzogiorno, mi regalo una mattinata di lentezza e tempi allungati. Per esempio, appena Belpelato esce e va al lavoro, m’allungo più che posso nel lettone e butto due bacini all’aria come richiamo per Micino, il quale immediatamente abbocca, balza su, sbadiglia, mi dà una raspata ruvida di lingua sul braccio sinistro, e poi s’allunga come me. Ha fatto sua la consuetudine già appartenuta al cane Nello, il quale era solito giacere accanto a me sul letto assumendo la mia identica postura e incastrandosi con me al millimetro. L’abbracciatino si dilata dalle otto alle nove, momento in cui scoperchio le lenzuola e mi lascio scivolare coi piedi sulle ciabatte di cencio. Esatto, quelle del tessuto delle pattine, i rettangoli di stoffa che le mamme esaurite di una volta ci facevano indossare quando davano la cera ai pavimenti. In bagno coccolo me stessa per un’altra ora. Alle dieci sono pronta: lavata e vestita. Ma al treno mancano due ore: torno a letto.
COMPAGNI DI VIAGGIO.
Scegliendo di viaggiare in treno, scelgo di stare al gioco della sorte. La sorte a questo giro mi mette accanto sei compagni di viaggio che, nel tragitto, ho tutto il tempo di studiare.
Tricotillomane: Tricotillomane, giovane donna lievemente sovrappeso ma dagli occhi bellamente azzurri, fa Firenze-Bologna-Milano a arricciolarsi tra le dita e tirare verso il basso la solita ciocchetta di capelli che le parte da dietro l’orecchio sinistro, senza mai fermarsi, senza mai cambiare. Con la mano libera, invia messaggi forsennati al telefonino e chiama qualcuno in continuazione. La Tricotillomane di lavoro fa l’organizzatrice di mostre, eventi, robe così, e ci tiene parecchio a farlo sapere. Se così non fosse, eviterebbe di mettere al corrente dei suoi cazzi tutti noi.
Alitone: Amico e collega di Tricotillomane, Alitone sale a Bologna, si siede di fronte a lei e di fianco a me. Purtroppo. Come attacca a parlare (naturalmente di lavoro), il sonetto di Rustico di Filippo mi risuona in testa: Ovunque vai, conteco porti il cesso. Mentalmente, improvviso tra me una parafrasi riadattata e colgo l’occasione per ripassare il testo trecentesco, d’incredibile attualità.
Fantasma Formaggino: Sulla quarta poltroncina dovrebbe sedere il proprietario dello zaino che occupa quel posto e che puzza di formaggio. Suddetto proprietario, tuttavia, non si materializza se non a fine corsa, per estrarre un fagottino di stagnola e consumarne il contenuto: panino allo stracchino.
Apple Boy: Alto, giovane, aitante, elettronico e multimediale, Apple Boy viaggia in compagnia della sua compagna (v. sotto alla voce Cruciverba Girl) ma in simbiosi col suo Mac. Che tra parentesi è identico al mio e suscita in me profonda nostalgia da lontananza. Apple Boy guarda certamente un film che, data la posizione speculare alla mia, ignoro del tutto. Egli alza gli occhi solo per fornire qualche soluzione a Cruciverba Girl e per lanciare rapide occhiate accompagnate da teneri sorrisi a Omino (v. sotto sotto alla voce Omino).
Cruciverba Girl: Alta, meno giovane, strariccioluta e settimanenigmisticadipendente, Cruciverba Girl di tutti i presenti è l’elemento meno interessante. Sarà che io al massimo i cruciverba li faccio per agevolare l’evacuazione pigra e dopo uno anche se non ho espletato chiudo tutto e vado via, ma quelli che passano le ore a fare parole crociate mi sono sempre parsi grulli.
Omino: Eccoci al personaggio-chiave del vagone. L’Omino è un bambino di (io credo) dieci anni che si comporta come un uomo fatto. Viaggia da solo con uno zaino bianco e blu zeppo di roba e divora con disinvoltura un libro di un milione di pagine. Con la gambina piegata sull’altra e il libro appoggiato sopra, l’Omino assume e mantiene l’atteggiamento serio di chi viaggia su treni di prima classe e sa che deve comportarsi bene nel rispetto degli altri, che gli altri in genere non hanno. Il cellulare lo tiene silenzioso e risponde piano quando se lo sente vibrare addosso. “No mamma, non credo di essere ancora a Milano” dice mentre il treno è fermo a Firenze. Apple Boy lo guarda e quasi si commuove per la tenerezza. Anch’io mi spenzolo per osservarlo: questo bambino educatissimo, silenzioso, maturo e responsabile è il figlio che avrei voluto avere, se avessi voluto avere figli.
MUSICA.
Bisogna che mi decida a dare una rinfrescata ai contenuti dell’i-Pod. Ché Nada va bene, Cremonini mi piace, Vasco lo adoro, Boccherini mi mette bene, Allevi mi rilassa, Einaudi m’agevola il pensiero, Jova mi foga, Mozart m’imbenzina. Ma insomma, dopo un po’.
CHE TEMPO FA.
“Ma a Milano che tempo fa?” chiedo prima di partire a chi mi sta aspettando. “E’ un po’ grigiognolo e freddino” è la risposta. Il sole sparisce all’altezza del Mugello. A Bologna c’è un certo malumore atmosferico. A Milano le nubi sono gonfie e hanno il muso lungo, sono arrabbiate e per l’insofferenza voltano le spalle ai viandanti mostrando un groppone costellato di gobbe. Come metto il capo fuori dalla fascistissima stazione, un diluvio m’avviluppa. Salta l’ipotesi di raggiungere un localino per mettere qualcosa sotto i denti, opto per il salto del pasto e per l’arrivo anticipato nel luogo convenuto.
TAXI!
Il taxi su cui salgo è il numero 206. Ripasso i numero di questa giornata: 1 il giorno, 4 il mese, 10 la carrozza, 36 il sedile. Troppi numeri pari. Mi portano sfiga. A me piacciono il 13 e il 17. E i gatti neri. Sarò mica una strega? L’uomo alla guida non spiccica parola nemmeno per chiedermi “dove?”. Sono io infatti che, entrando, dico: “Segrate”.
IL LUOGO CONVENUTO.
Il luogo convenuto sorge su un’immensa piana di verde ed è immenso anch’esso. Lo progettò l’architetto brasiliano Oscar Niemeyer, distribuendolo su tre padiglioni giganteschi e arcati e circondandolo di un suggestivo specchio d’acqua dove d’estate s’attardano oche e germani e intorno al quale sculettano pavoni e zompettano coniglietti nani. La prima volta che lo vidi mi fece impressione. Oggi mi fa emozione. La prima volta che ci venni mi guardavo intorno inebetita e non sapevo cosa rispondere al casottino da cui un addetto mi chiedeva dove fossi diretta. Oggi mi godo la burrasca al riparo del vetro ed estraggo dalla borsa un documento pronunciando il nome del mio editor.
I CAVALIERI DELLA TAVOLA ROTONDA.
Il mio editor lavora al quarto piano e questa volta non scende neanche a prendermi. “La aspettano” mi dicono al pianoterra rilasciandomi un tesserino con il mio nome e il mio cognome già stampati. La prima volta che m’arrampicai in questa maestosa piccionaia la testa mi girava, guardavo tutto e non vedevo nulla, le gambe mi si piegavano un po’ in avanti e fino all’ultimo continuai a credere che ci fosse un errore, che ci fosse un inganno, che fosse uno scherzo. Fidanzato Belpelato era rimasto ad aspettarmi in piazza del Duomo perché “non vorrai mica fare la bambina tonta che si fa accompagnare?”. Oggi sono venuta da sola, cammino da sola, faccio tutto da sola, procedo piano, osservo tutto, moquette marone, pannelli verdi, divisori a labirinto come in quel film di Tati. La gigantografia di Saviano mi guarda, il viso dolce della ragazza rossa di D’Avenia mi sorride, la foto di Guccini mi fa canticchiare Non so che viso avesse. Il mio editor, la sua capa e i suoi colleghi mi aspettano a un tavolo bianco e rotondo come quello di casa mia. Non posso dire di sentirmi come mi sento a casa mia, però mi sento bene. C’è un pacco di fogli scritti, su quel tavolo bianco e rotondo. Li ho scritti io. Loro li commentano, li voltano, li sparpagliano, se li passano. Passa una segretaria e mi porta un caffè. Ripassa e mi offre un ovetto di cioccolata. Io accetto. Accetto tutto, perché sono le quattro, non ho pranzato e lo stomaco me lo sento più giù delle ginocchia. Si parla di un titolo. Si parla di una copertina. Si parla di una data di pubblicazione.
PIOVE, MADONNA COME PIOVE.
Due ore e mezzo dopo sono fuori e piove a scatafascio. Piove e non me ne frega nulla, piove e sono contenta, piove e sorrido, piove e mi sento leggera, piove e non ho più neanche fame, piove e tremo dal freddo, piove e gli mando un messaggio, piove e sento che tutto ciò che desidero fare, ora, è tornare subito a casa per abbracciarlo, incastrando anche il gatto dentro quell’abbraccio.