Si va in classe a passo lento, concedendosi una sosta svagata in sala professori, una chiacchiera nel corridoio con le colleghe più care, passando prima a infilare il capo nello stanzino delle custodi che ricordano: alle 10 tutte qui per la nostra ultima colazione insieme.
Coi propri studenti si rilegge e si firma il programma, ci si dice qualcosa che non ci siamo mai detti, ci si guarda come non ci siamo mai guardati e come non ci si guarderà mai più: con l’occhio dell’ultimo giorno.
Si mangiano le peggiori schifezze chimiche e i migliori dolci casalinghi, si mescolano insieme patatine fritte torta di mele pop corn crepes mediorientali dixie arachidi pizza e focaccia, in un devastante mangiaebevi irrorato di cocacola fanta e (il più vomitevole) tè alla pesca.
In aula si boccheggia e così si esce in cortile. Ma in cortile non ci sono le prese per le casse e così si rientra in aula per cantare buon viaggio che sia un’andata o un ritorno (e per quanta strada ancora c’è da fare amerai il finale). In palestra c’è il torneo di pallavolo e così si va a fare il tifo. Ma in palestra per il caldo l’umidità il puzzo di ascelle e di piedi non si respira e così si va in giardino.
In giardino ci si tira la palla alla rinfusa, si ride di chi sbaglia e si vocia a chi non gioca, si fa il mucchio delle borse, ci si spoglia a rate, ci si sgranano i pantaloni ma pace.
I professori ligi spendono le ore alla cerca degli alunni itineranti per radunarli insieme come con il gregge il cane da pastore. I professori scervellati vanno dove gli pare e si fanno cercare dagli alunni.
Vincono nella classifica delle parole più pronunciate: vacanza, alé, insufficienze, oh no, gavettoni, vaffanculo.
Io non so se essere felice perché è l’ultimo giorno. O disperata perché potrebbe essere l’ultimo giorno in assoluto in questa scuola.