E’ stato l’anno dei passi e delle scale.
Mai, dentro una scuola, ne avevo fatti e salite così tante, ala est, ala ovest, aula duecentotredici, sessantadue, centododici, duecentosessantasei, centrocinquantanove, duecentoquattro, entra in classe, torna in sala professori, dimenticato libri nel cassetto, macchinetta del caffè, cortile posteriore, sorveglianza all’intervallo, ottagono, aula magna, corridoi, segreteria didattica, segreteria amministrativa. E mi tornano in mente le parole di quella collega il primo giorno: “Preparati al peggio: io ci ho preso la sciatica”. Io invece ero convinta che sarei dimagrita. Per una malsana tendenza alla sovralimentazione mirata ad affrontare il carico motorio, ho preso 5 chili.
E’ stato l’anno dei fumetti.
Con la naturalezza dei dotati, degli ispirati, degli artisti, i miei studenti me ne hanno propinati in tutte le salse: negli appunti di Storia, tra i capitoli dei Promessi Sposi, in mezzo agli appunti di quadernoni che meriterebbero la pubblicazione, perfino nei compiti in classe, come ha fatto NanniBella con grande coraggio e ineguagliabile grazia. Chissà cosa direbbe Zerocalcare.
E’ stato l’anno del registro elettronico.
Quando il tablet è entrato dentro la mia vita, la mia vita ha cessato di essere serena. Prendilo dall’armadietto della ricarica, firma per dimostrare di averlo preso, portalo in classe col terrore di farlo cadere, prova a compilarlo, cinque, dieci, venti minuti di lezione buttati al vento per digitare assenze, ritardi e voti che sul cartaceo mi portavano via un secondo. Niente: non ha mai collaborato, ha sempre fatto ostruzionismo. Poi finalmente nella mia vita è entrato un MacBookPro nuovo di zecca e il tablet è andato cordialmente affanculo.
E’ stato l’anno delle scarpe basse.
Dopo avere (anni fa) abbandonato gli anfibi a favore di tacchi e zeppe (che conferivano al mio ruolo 12 centimetri di credibilità in più), sono tornata allo stivale rasoterra e alla nana che sono sempre stata. Il look ne ha sofferto, il piede ringrazia.
E’ stato l’anno dei disegni e delle fotografie.
Ho la camera, le borse, l’agenda, i libri e il cellulare costellati di produzioni artistiche dei miei alunni. Uno dei motivi per cui chiesi il trasferimento in questa scuola (godere di un talento che non ho mai avuto) è stato soddisfatto.
E’ stato l’anno delle ore buche al parco.
Dopo anni di scuole in mezzo all’asfalto, finalmente una scuola ingoiata dal verde popolato di cani. Molossi, tappetti, labrador, retriver, barboncini, bassotti, nobili, meticci. E levrieri, levrieri, levrieri. La frutta comprata al banchino, la schiacciata alla gastronomia di Porta Romana. Le briciole addosso, le zampate sulla maglia. La metamorfosi arborea seguita in diretta, tutti i colori del bosco in autunno, la nudità fragile dell’inverno, la rinascita primaverile.
E’ stato l’anno delle levatacce.
Con un orario definitivo che mi vedeva sempre in classe alla prim’ora, la sveglia è rimasta puntata per nove mesi alle 6. Questo ha annientato ogni attività serale che andasse oltre le ore 20. Sarà un’estate di nottate caparbiamente insonni: non intendo coricarmi prima delle 2 fino a settembre.
E’ stato l’anno delle grandi emozioni.
Un anno sulle montagne russe tra discese ardite e risalite, tra baratri e risurrezioni, tra odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
E’ stato l’anno del tempo che vola.
Settembre era ieri. Entravo in tre classi e nella vita di una settantina di ragazzi mai visti prima. Tempo di un sogno, ed era già giugno.