Scrivono dopo un anno, scrivono da casa, scrivono collettivamente.
Raccontano cosa succede in classe, scendono nell’aneddotica, si soffermano sul particolare, narrano di vicende epiche pomeridiane.
Profe, Tizio e Caio giocavano insieme all’allenamento di calcio, Tizio ha tirato una pedata al pallone ma anziché il pallone ha beccato Caio, e lei dirà, va be’, ma Caio è agile, si sarà spostato, no? E invece no, profe: Caio è rimasto lì come un citrullo, ha preso in pieno il pedatone, s’è abboccato a terra e ora giace in ospedale con il radio che se ne va a giro per i fatti suoi.
Scrivono come parlano, scrivono come mangiano, scrivono senza dare retta alla sintassi e facendo pernacchie all’ortografia: annunciano che verranno a trovarmi nella scuola nuova appena ci sarà un occasione e non ci mettono l’apostrofo, anticipano che potrebbe essere un Martedì e me lo scrivono con la maiuscola, gli viene il lampo di genio e ipotizzano magari si fà forca, con l’accento.
In casi come questi bisognerebbe fare i duri, rimanere impassibili, mettere a tacere il sentimento e ordinare: finché non mi scriverete una mail priva di errori non osate presentarvi al mio cospetto.
E invece non aspetto altro che riabbracciarli e sbaciucchiarmeli ben bene stampandogli l’impronta del rossetto sulle gote lisce.
Subito dopo, corprirgli quei testoni di nocchini e dargli di asini, ciuchi e caproni.