In quanto sangiovannese purosangue per genesi e mangiatrice pantagruelica per vocazione, ieri sono stata inviata al Primo Palio dello Stufato organizzato dal Comune che ha dato i natali a Masaccio.
Che non vi passi per la testa di chiamarlo spezzatino.
Una vaga e solo illusoria parentela accomuna le due pietanze. Entrambe prevedono la riduzione a pezzi grossolani di quarti di manzo nella parte cosiddetta del muscolo. Entrambe impongono una cottura lenta e prolungata tirata su a romaiolate di brodo.
Ma la somiglianza finisce qui.
E qui entrano in scena mille segreti, molteplici aromi, aneddoti fantasiosi, personaggi immortali e, soprattutto, lui: il Pratesi.
Nessuno può vantare una confidenza con lo stufato alla sangiovannese se non ha mai frequentato Giorgino Pratesi e non ha annusato almeno una volta la misteriosa miscela di spezie che lui (e solo lui) ha creato e spacciato per anni ai camerlenghi storici degli uffizi e a tutti coloro che decidevano di cimentarsi nel piatto più popolare e raffinato della cittadina un tempo possedimento fiorentino.
Solo il naso di un sangiovannese vero riconosce, confusa nella carne, la miscela paradisiaca, afrodisiaca e stupefacente insieme delle spezie del Pratesi.
Solo il palato di un sangiovannese originale, che non abbia incroci con alcun montevarchino nemmeno nelle generazioni più remote, è in grado di assaggiare otto tipi di stufato, individuare il migliore e contribuire a condurlo alla gloria di un concorso.
Io l’ho fatto.
E per i lettori della rivista enogastronomica “Gola Gioconda” narrerò l’evento, svelerò i retroscena e porterò i buongustai dietro le quinte nel prossimo numero del periodico.
Non prima di aver tentato di sturare l’apparato digerente con bicchierate di acqua e bicarbonato solvay.