Pare che Maurizio Salabelle, quando uscì il suo primo romanzo, non sapesse che faccia fare per la strada: se fosse andato a vedere in libreria gli sarebbe venuta la faccia di quello che va in libreria a vedere se è uscito il suo libro, e se non ci fosse andato, se avesse preso vie traverse e si fosse tenuto alla larga, lo stesso chi lo avesse visto avrebbe pensato “Guarda, quello è uno che ha una faccia che sta facendo la strada contraria a quella che porta in libreria perché vuol far finta che non gli interessa l’uscita del suo primo libro”.
A lei piacerebbe poter dire che condivide questo sentimento di vergogna, ma non è vero.
Lei è contenta.
Perché fino a quando non ha firmato il contratto con l’editore non ci ha creduto, e fino a che non le è arrivata la scatola coi libri non ci aveva investito nessun pensiero, nessuna energia emotiva. Quindi per lei questo è un regalo, non un mestiere. Perché secondo lei uno scrittore non è uno che ha pubblicato un libro. Paolo Nori, Maurizio Salabelle secondo lei sono scrittori, ed è bello che gli venga la faccia di quelli che si vergognano della loro scrittura, meglio quella faccia lì che un’altra.
Lei stamani doveva andare a lavorare, aveva gli studenti che la aspettavano in classe, doveva parlare di Pompei e mai momento fu più propizio, vista la nube che impolvera i cieli d’Europa. Le sarà venuta la faccia di quella che si concentra sulla sua lezione e in un angolo del cervello è felice perché oggi esce il suo primo libro. Forse glielo avrà detto, ai ragazzi, o forse no, ché tanto quelli non spiccicano una parola d’italiano e il suo libro forse non lo leggeranno mai. E forse quando sarà uscita da lezione avrà ceduto alla tentazione di andare in libreria a vedere, se c’era, e dov’era, e in quante copie.
Ma è più probabile di no. Perché se poi non lo avesse visto, se poi non ci fosse stato, le sarebbe venuta l’ansia.
Io il suo libro ce l’ho tra le mani: mi è arrivato per posta in anteprima qualche giorno fa e me lo sto gustando con la lentezza che si dedica ai libri che ci svegliano il piacere addosso per le similitudini azzeccate, le immagini evocate, i dialoghi credibili, le parole mai banali.
Lo leggerò due volte, la prima per sollazzo, la seconda per lavoro. E il lavoro, questa volta, non sarà di peso perché mi porterà in libreria e mi farà sedere accanto a lei per farle tutte le domande che quel giorno mi verranno in mente. Di lei per ora non so quasi niente: non ho mai sentito la sua voce e il suo viso l’ho visto solo in foto. Quello che so è che ha i capelli rossi e la capacità di incollarmi gli occhi alla pagina mentre la bocca mi s’apre al sorriso per l’ironia lieve che ci trovo scritta dentro, quello che so è che ha il nome di un fiore e il cognome di un colore.
Erika Bianchi, Sassi nelle scarpe, Dario Flaccovio Editore.