Dopo Brindisi la scuola mi sta ancora più a cuore perché mi sembra ancora più indifesa. Prima la pensavo attaccata solo dal forbicione dei ministri che ne tagliano da anni le finanze castrandone la potenza. La vedevo sminuita da chi la critica senza più ricordarsi neanche vagamente l’odore speciale che ci si sente entrandoci dentro, quell’inconfondibile puzzino che c’è soltanto lì e che è il prodotto finale del mescolarsi armonico di gessi e ardesia, carta e cancelleria, zaini e scarpe da ginnastica, pelle e sudorina. La difendevo a suon di rispostacce secche e passionali da chi (e sono tanti) osa permettersi di sputare sentenze senza conoscerne i meccanismi (tutti trasformati), le dinamiche (tutte stravolte), i contenuti (tutti rivisti e corretti). Ma che parlate a fare –m’imbestialivo- zitti voi, che non avete la fortuna di guardare il viso adolescente dei nostri ragazzi mentre ci guardano fare lezione e riempire di schemi, date, nomi e regole le lavagne. Zitti voi, che non conoscete il privilegio di entrare ogni mattina in un ambiente protetto, off-limits, ermetico e sicuro. Ma dopo Brindisi la scuola mi sembra nuda ed esposta, e la guardo con occhi preoccupati ma ancora più incantati. In questa settimana che ormai volge alla fine, per due volte sono andata a teatro a vedere gli spettacoli messi in scena dagli studenti dell’Istituto dove insegno. Martedì scorso al Teatro dell’Affratellamento, ieri sera al Cantiere Florida. E sarà perché questi ultimi sono stati giorni di tensione e di paura, di pensieri cupi e di terrore, ma insomma io a vedere quei ragazzi sopra il palco a dare voce al Piccolo Principe nello spettacolo “Il mantello stellato” o a denunciare in “Questa sporca guerra sporca” le sevizie e le violenze perpetrate dai regimi sudamericani, mi sentivo strizzare lo stomaco come si fa con un cencio fradicio, mi sentivo chiudere la gola come alla vigilia di un pianto sofferente e trattenuto. E mi dico che si deve fare di tutto perché la scuola resti quello che è sempre stata, quel paradiso terrestre che gli studenti maledicono per una questione di luogo comune, perché a quell’età lo fanno tutti, perché bisogna quasi farlo per forza per sentirsi normali. La scuola deve rimanere quel posto di lavoro che è diverso da tutti gli altri e a cui nessun altro è neanche lontanamente paragonabile. Dopo Brindisi, nella mia scuola non è che si siano fatte azioni eccezionali: un minuto di silenzio, e poi la lezione di ogni giorno, accompagnata dai giornali con le notizie aggiornate su quell’uomo fermato, interrogato e presto rilasciato, sulle ipotesi ancora tutte da convalidare, sulle supposizioni, i tentativi e i sentieri ancora da battere alla ricerca della verità. Le riflessioni dei ragazzi, i loro commenti disarmanti. Le considerazioni che si fanno quando la realtà è più agghiacciante di qualsiasi storia di paura letta dentro un libro. Questo deve essere la scuola: un posto incantato dove imparare a convivere con il disincanto, l’ambiente in cui gli adulti fanno tutto quanto è in loro potere per proteggere i ragazzi che ci vanno. L’edificio più importante tra tutti gli edifici costruiti in una città.
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