Quanto tempo era passato dall’ultima serata in compagnia della mia amica.
Avevo scelto per lei un ristorante appollaiato in cima a una collina e disteso in mezzo al verde, un luogo romantico e solitario, appartato e silenzioso dove raccontarci un vissuto che, per alcuni mesi, non avevamo condiviso.
E già guidando verso casa sua per prelevarla e regalarci qualche ora d’esclusiva e confidenze, come aperitivo pregustavo l’atmosfera e le nostre voci, immaginandomele soffusamente mescolate a quelle di altre persone giunte fino lì per motivi identici ai nostri.
Certo, non potevo immaginare di trovarci la succursale di un asilo nido.
Tra neonati vocianti, infanti rumorosi e bambini capricciosi, parlando con qualche difficoltà acustica insieme alla mia commensale affettuosa, ho ripensato alla mia infanzia.
Quando nacqui io, il babbo e la mamma smisero di fare i giovani fidanzati e si resero immediatamente consapevoli di essere due genitori adulti. Al ristorante non ci tornarono più per anni. Perché avevano presenti due elementari verità che invece sembrano sfuggire ai genitori d’oggi: i bambini al ristorante si annoiano a morte e danno un gran fastidio a chi ha il diritto di stare in santa pace.
Ma poi, fosse solo il ristorante.
I nuovi genitori trascinano la prole nei locali per l’aperitivo costringendo i piccini al chiasso urbano di chi genitore non lo è e i presenti al chiasso insostenibile di queste incolpevoli creature che s’inseguono tra i tavoli, smanacciano tra le patatine, sputazzano sulle tartine, piangono e -pur senza dirlo- chiedono la pace della casa.
La domenica mattina infine mi tocca digerire l’invasione di carrozzine blindate e passeggini futuristi che mi passano sui piedi e invadono i baretti dove un tempo si consumavano colazioni placide e tranquille, tra una sorsata al cappuccino e una lettura del giornale; mi tocca sopportare gli urli disperati di chi meriterebbe una tavola imbandita a casa propria e un sottofondo musicale delicato, chessò, un bel Wolfgang Amadeus Mozart, che oltretutto agevola il risveglio e assicura una crescita equilibrata; mi tocca stare zitta e tenermi dentro quello che invece vorrei dire a chi mette al mondo dei figlioli.
E cioè che la vita cambia, quando arrivano dei bambini in casa.
Che improvvisamente, e per un tempo incalcolabile a priori, non si è più liberi di fare tutto quello che facevamo prima.
Che le priorità si devono invertire, i luoghi d’azione devono mutare, le dinamiche si devono trasformare.
Che fare finta di essere soli quando si è (minimo) in tre, è dannoso.
Che questo cocciuto proporsi come genitori adolescenti, è diseducativo.
Che questo insolente imporre i propri meccanismi familiari a chi una famiglia non ce l’ha e magari non la vuole, è maleducato.
Che tirare su generazioni future con una visione del mondo puerocentrica, è pericoloso.
Che i bambini hanno bisogno di un ambiente tranquillo, di orari precisi, di rituali quotidiani, di calma, di presenza fisica e mentale.
Che il cibo cucinato in casa fa molto meno male.
Che la colazione al bar ingrassa.
O semplicemente, come hanno sempre detto il mio babbo e la mia mamma, che “ulli ulli/ chi li fa, se li trastulli”.